Competenza penale

Premesso che presso ogni Tribunale per i Minorenni è costituita una Procura della Repubblica (sin dal R.D. 20 luglio 1934 n. 1404, così come già era per i Tribunali ordinari, venne prevista, presso il neonato Tribunale per i Minorenni la costituzione di un autonomo ufficio del pubblico ministero), l’art. 3 del D.P.R. 448/88 che disciplina “il processo penale minorile” così dice: “il Tribunale per i Minorenni è competente per i reati commessi dai minori degli anni diciotto”.

La competenza riguarda qualsiasi reato (commesso da un minorenne), si tratti di una contravvenzione (ad es. quella prevista dall’art. 659 c.p.: “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”) o di delitti, come il furto, la ricettazione, la rapina, l’estorsione, le lesioni, l’omicidio”.

Il dato che qualifica e definisce la competenza del Tribunale per i Minorenni è l’età: “Il Tribunale per i Minorenni è competente per i reati commessi da coloro che al momento del fatto (cioè alla data del commesso fatto/reato), non avevano ancora compiuto il diciottesimo anno di età“.
Si fa riferimento all’età nel momento in cui è stato commesso il fatto, pertanto può accadere che possano anche giungere a giudizio davanti al Tribunale per i Minorenni giovani che sono già maggiorenni, ciò può accadere se (ed appunto perché, comunque) al momento in cui è stato commesso quel fatto/reato (che a loro si contesta) non avevano ancora raggiunto il diciottesimo anno di età.

L’accertamento del dato anagrafico è quindi essenziale, là dove vi sia “incertezza” (non sempre il giovane che commette il reato ha documenti attendibili o v’è dubbio sulla identità anagrafica) l’art. 8 del D.P.R. 448/88 dispone che: “Quando vi è incertezza sulla minore età dell’imputato, il giudice dispone, anche di ufficio, perizia. Qualora, anche dopo la perizia, permangano dubbi sulla minore età, questa è presunta ad ogni effetto“.

Questa disposizione applica il principio del “favor rei“, che impone di privilegiare il trattamento giuridico più favorevole all’imputato. Nel processo minorile, ciò si traduce in un trattamento processuale calibrato sull’età del soggetto: le stesse norme processuali, come stabilisce l’art. 1 del D.P.R. 448/1988, “devono essere applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne.

Proprio in ragione di tale principio, è stata superata un’incongruenza prevista dal R.D.L. 1404/1934, che consentiva di portare a giudizio dinanzi al Tribunale ordinario i minori coimputati con maggiorenni.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 222 del 15 luglio 1983, ha dichiarato illegittima tale prassi: oggi il principio trova espressione nell’art. 14 c.p.p., che stabilisce che anche nei casi di concorso con un maggiorenne, il minore è giudicato dal Tribunale per i Minorenni per il medesimo fatto di reato.

Per quanto riguarda i minori di anni 14, pur non essendo imputabili, non restano privi di attenzione giudiziaria. L’art. 224 c.p. prevede che: “Qualora il fatto commesso da un minore degli anni quattordici sia preveduto dalla legge come delitto ed egli sia pericoloso, il giudice, tenuto conto della gravità del fatto e delle condizioni morali della famiglia con cui il minore è vissuto, ordina che questi sia ricoverato in una comunità o posto in libertà vigilata“.

Nei suoi confronti, dunque, non si applicano pene, ma misure di sicurezza, avviando una procedura di natura sostanzialmente “amministrativa”, prevista dall’art. 25 del R.D.L. 20 luglio 1934 n. 1404 e successive modificazioni.